Auschwitz & Birkenau
I campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau sono i più conosciuti luoghi della morte, simbolo della follia nazista durante la seconda guerra mondiale. Una visita che consiglio almeno una volta nella vita per capire quanta malvagità risiede nell’uomo, ma la consiglio solo se si è veramente consapevoli di quello a cui si va incontro. Io, noi, eravamo pronti. Preparata sull’argomento ma non a quello che avrei provato varcando quei cancelli. La visita è fortemente sconsigliata ai bambini di età scolare, ma Emma avendo solo due anni non ha empatizzato e alle poche domande si è accontentata delle mie risposte. Abbiamo scelto una visita di mattina, con guida italiana prenotando i biglietti sul loro sito ufficiale direttamente dall’Italia. Le guide sono bravissime e preparatissime, raccontano aneddoti che non si leggono da nessuna parte e con un trasporto davvero sincero. Ma posso dire che se si è preparati bene, leggendo libri e siti si può tranquillamente visitare in solitudine. Siamo partiti per Auschwitz da Cracovia con un bus comodissimo che ci ha lasciati esattamente nel parcheggio del campo. Un po’ non te lo aspetti così, con tanta gente che mangia e beve (all’interno dei campi è chiaramente vietato) e con uno shop all’interno. Passati i controlli severi (fanno entrare con borse davvero piccole, le grandi si posso lasciare fuori gratuitamente) ecco il famigerato cancello con la scritta beffa “ARBEIT MACHT FREI”, il lavoro rende liberi…di morire.
Il campo è diverso da come me lo immaginavo. I block sono così ordinati e curati da fare impressione. Emma ha 2 anni e abbiamo deciso di non portare il passeggino ma si può entrare con due avvertimenti: nei block dovrete fare a turno a meno che non volete salire anche 3 piani e cmq alcune aeree sono delimitate dal nastro di sicurezza; il terreno è scosceso senza asfalto quindi pesante.
Abbiamo visitato i block con la guida. Sono diventati dei musei, con reperti, fotografie e documenti che riportano indietro nel tempo a quelle atrocità. Stanze piene di scarpe, centinaia, migliaia appartenute a esseri umani come noi trattati come carne da macello senza motivo, per un odio razziale incomprensibile. E poi i capelli, le valigie, gli oggetti personali, gli occhiali, ogni stanza una ferita agli occhi, fuori da ogni block un respiro per andare avanti. Le stanze dedicate ai bambini sono davvero toccanti, ho abbracciato forte la mia piccola, ignara di tutto quel male. E poi le celle, piccole e buie e i buchi dove avvenivano le torture. Fino a passare dal muro delle fucilazioni dove la guida ci accompagna in una preghiera e le lacrime scendono silenzio.
Ecco il silenzio, un elemento che contraddistingue la visita nonostante le tante persone presenti. Il tragitto termina ai forni crematori e nelle camera a gas. Nessuna parola può esprimere cosa si prova a entrare in quelle camere, se fuori c’erano almeno 35 gradi, il mio cuore si è ghiacciato. Nemmeno un po’ di rivalsa alla forca dove è stato impiccato il direttore del campo, neanche quella sembra giustizia. La visita finisce così prendiamo la navetta per i 3 km che ci separano da Birkenau, questa grande distesa di baracche, quasi tutte distrutte dai tedeschi prima dell’invasione degli alleati. Il binario sovrastato dalla torretta è lunghissimo, sembra non finire mai e lo percorriamo tutto a piedi, soffermandoci a guadare esterrefatti una carrozza di legno che portava i detenuti. Alla fine del binario il monumento ai caduti realizzato da quel che resta di uno dei grandi crematori. Accanto si possono vedere le rovine di un altro forno dove accanto ci sono 4 lapidi simbolo, ci si ferma davanti con consapevolezza che la terra che stai calpestando è piena di cenere umana a cui non si è potuto dare degna sepoltura. A Birkenau si possono visitare solo un paio di baracche, noi entriamo in quella di legno dei bambini, una tristezza infinita, squallida, con quelle panche di legno inclinate adibite a letto, e una latrina all’interno della baracca stessa. Lascio questi posti con la consapevolezza, la certezza che comunque l’uomo non ha imparato nulla e che odio e discriminazione sono ancora presenti. Ma mia figlia che corre lungo il binario accende in me una fiamma di vita e di speranza.